BALILLA E PICCOLE ITALIANE. La scuola, i sogni, la vita. - Pagina 2 PDF Stampa E-mail
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BALILLA E PICCOLE ITALIANE. La scuola, i sogni, la vita.
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Poi è arrivata la guerra. Mi ricordo bene quel giorno. Suonavano le sirene, ci hanno mandati fuori dalla fabbrica e siamo andati tutti in piazza e ci hanno fatto l'annuncio. 
Non tutti applaudivano, c'era gente che piangeva.
Accompagnavamo gli amici che partivano per il fronte, e tanti non sono tornati. Era triste, soprattutto le prime volte. Mi ricordo di un professore di italiano che all'avviamento ci spiegava bene le poesie; anche lui è partito ed è morto. Non si sapeva niente di quello che succedeva.
Io avevo una radiolina, a furia di chiederglielo mia mamma l'aveva comprata, per 900 lire. Le uniche notizie si sentivano lì.
Con il fascismo bisognava stare attenti a non dire mai niente di quello che si pensava, specie nel '43 è stato tremendo, ne hanno fucilati parecchi.
Anche il conte Gaetano era fascista, lo eravamo tutti. Chi andava a lavorare doveva iscriversi al partito. Mia mamma non era iscritta perchè non era mai stata in fabbrica. Non ha voluto consegnare la fedi ai fascisti, mi ha mandato a portare l'oro, ma le fedi no.
Non si pensava che la guerra fosse una cosa così grande.
Quando ero piccola mio papà mi raccontava della prima guerra mondiale, delle sue storie, delle trincee sul Pasubio, ma mi sembravano favole.


STORIA DI MADDALENA NATA NEL 1941


All’asilo c'erano le suore, vestite di nero con un grande collettone bianco. Mi ricordo di questi saloni enormi ben lucidati; un giorno sono scivolata con la lingua fra i denti, se ne è staccato un pezzetto. La suora mi ha portato al pronto soccorso, mi pare fosse interno alla fabbrica; ricordo il suo collettone tutto sporco di sangue. Adesso, mi dicevano, sarai costretta a stare zitta per un po’, chiacchierina come sei. Le suore erano affettuose e dolci, all’asilo ci facevano disegnare e fare lavoretti. Delle suore mi ricordo che nel ‘49, quando ho fatto la prima comunione, si raccomandavano con noi bambini che i genitori votassero democrazia cristiana.
Mio marito non è andato all’asilo, viveva in un paesino nella valle del Chiampo, dove i bambini andavano nei campi, portavano in giro le bestie. E’ andato direttamente alle elementari, senza saper tenere una matita in mano. La sua maestra lo metteva in castigo dietro la lavagna. A Valdagno eravamo più aperti. La scuola elementare aveva le cucine e ci si fermava a mangiare tante volte, era ben riscaldata. Mettevamo le pantofole, che tenevamo negli armadietti. Indossavamo grembule nero con collettino bianco. Scrivevamo con inchiostro e calamaio, si cominciava con le aste dritte, poi oblique e ci insegnavano la bella calligrafia; ogni lettera aveva una parte più sottile ed una ingrossata.


Al dopolavoro aziendale ha messo a disposizione delle sale per gli studenti, avevamo un bar interno, una sala lettura con riviste di tutti i tipi e un salone enorme con il juxe box dove il sabato pomeriggio e la domenica si poteva ballare.
La città sociale fu costruita nel ‘36. C’era tutto, chiesa, farmacia, scuole,  un ospedale, lo stadio, la piscina, scuola di scherma e di equitazione, e a prezzi accessibili.
A Valdagno c'erano quattro sale cinematografiche, adesso ne abbiamo solo una.
Il Teatro Impero era enorme. Subito dopo la guerra vi ho ascoltato alcuni concerti della Fenice di Venezia, veniva Vanda Osiris.
Quando molti anni dopo, nel ‘69, Marzotto ha licenziato degli operai, c'è stato uno sciopero che è durato a lungo. Sono scesi i sociologi dell'università di Trento e hanno abbattuto il monumento dedicato al conte; la popolazione ha reagito male, era il crollo di un mito. Ma nell’aria era forte il  desiderio di cambiare le cose.