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-ANDATA E RITORNO VALDAGNO – VICENZA UN VIAGGIO IN VACA MORA |
AUTORI - Autori Locali - testi | ||||||
Andata La partenza nelle ore piccole del mattino, ancora notte . Notti d'inverno, lunghe, in quell'ora il buio è ancora profondo e più intenso il freddo. Le vie del paese sono deserte, qualche fantasma di donnetta zoccolando frettolosa va in chiesa dove Pegnata, il sacrestano, ha appena aperto; qualche fornaro e un silenzio alto, spettrale. La trombetta di Ceroni dà il via, la macchina fischia e la caravella del Tram, cigolando, sballottando scende la strada dei Noni. Ceroni distribuisce i biglietti. Sono nastri di carta, verdi per la prima classe e rossi per la seconda. E si giunge a Palazzetto. Qui fermata straordinaria e fin che la macchina fa acqua e tira su la pressione si approfitta per andare in trattoria dalla Siora Melia col vin caldo, pan fresco, tanto fresco da essere ancora caldo, soppressa, pancetta, luganeghe, altri generi simili. Scendono. Per prima cosa vanno contro la « passaia » dandosi un gran da fare coi pantaloni, l'inverso di quello che sta facendo la macchina.
Ormai il sonno è passato, gli occhi sono vivi, baffi e baffoni di tanto rispetto guazzati di vino e ganasce in lavoro. Si chiamano, si offrono il bicchiere, attaccano discorsi; qualcuno sbircia in spazzacucina a cercare la serva. Gli astemi rimasti in vettura cominciano brontolare per il prolungarsi della fermata, ma più per invidia, per contrarietà. Gli astemi, le bocche difficili, gli stitici sono sempre pessimi compagni e guastafeste. L'ambiente è accogliente, di odore vinoso, col camino coi caregoni e un bel fuoco acceso che spande un caldetto casalingo. Accogliente anche la Siora Melia, accogliente anche la serva diciottenne, la Santina di Gambuian, bianca e rossa, bella fresca come « on boccolo de rosa », prosperosa e tondeggiante, di forme sode. Quasi, quasi vien voglia di non partire più se non fosse perché c'è l'incontro col tale a Vicenza, con tal'altro da Arzignano, per qualche affare da combinare per cui si porta in regalia un pollastro e poi quei fagotti attaccati alle costole che non ti sai come liberare; e conviene al richiamo trombettiero di Ceroni risalire il tram. Proprio adesso che si sta facendo giorno. I ragazzi non stanno fermi, cominciano agitarsi, vorrebbero abbassare i vetri dei finestrini, guardare fuori, vogliono fare pissin, proprio adesso che il tram s'è rimesso in moto; le femmine li portano in piattaforma, e lì al vento si innaffiano i calzoncini. Fortuna che non si mettono in testa di fare qualche altra .cosa, che allora se ne vedrebbero di belle. Magari anche pretendere di fermare il tram. « Poareto galo da farla in braghe, ciò! Fermare on fiatin poco costa ». Gli uomini si raccontano le novità, storie e fatti, grassi e piccanti; attraverso il fumo corre la risata. Le donne sono curiose, godono e ascoltano senza voler parere, ridendo, con gli occhi lustri, coprendosi mezza la faccia col « fazzoletton », per ritrosia, dandosi di gomito, sbirciandosi tra loro. Qualche « fiol d'on can » fa la mano morta con la vicina, l'altra lascia fare, con tanto dondoli() finge di non capire. Qualche donnetta va a Monte Berico per devozione, per un voto, col rosario in mano biascica orazioni. Le mutrie, gli astemi, sono sempre ringhiosi non va bene niente, specie adesso che dà noia il fumo, l'odore di vino e poi... tutto e tutto che non và. Intanto passa via Trissino, la Ghisa, ecco San Vitale. San Vitalee... per Arzignano, Chiampo si cambia! Su tutti, si riparte! Bisogna riguadagnare il tempo perduto e spicciarsi per Vicenza. Ormai s'è fatto giorno del tutto, ma persiste la nebbia, ai finestrini il paesaggio brumoso passa lento, soffocato. Può succedere, non raramente, anche, che il convoglio abbia un rabbioso stridore di freni della macchina con fischi. Ceroni corre fuori in piattaforma e da di mano alla « macanìca », il freno a mano di emergenza della carrozza aiutando così quella della macchina e tutto si ferma. Grande scompiglio, calano i vetri dei finestrini, tutti si sporgono, si sbilencano fuori, vogliono vedere cosa è successo. Il personale va a vedere, si ode un bisticcio. Non è niente: un carro di letame sbucato da una boaria. I buoi spauriti si sono messi di traverso. Allora il macchinista scende e con quattro briscole, sgombra la via e il tram riparte. I finestrini si richiudono, ognuno si siede, sono un pochino delusi, si aspettavano qualcosa di più, magari un po' di sangue fra le ruote. Si sa, il popolo ama sempre le cose forti (a spese degli altri). Tavernelle è passato, passato l'Olmo, il bigliettario ritira l'ultimo tagliando di biglietto; questo è il più faticoso, non si trova mai, l'avea qua... L'avea la... no lo cato più! ». Vuota le tasche, vien fuori tutto il bazar. Ora succede il contrario di quanto successe in partenza. Tutti hanno fretta di smontare. Tirano giù i fagotti, qualcuno scappa e va finire, proprio, sulla testa d'un bastian contrario che comincia strillare. Ritorno Al ritorno si capovolgono tutti i fenomeni dell'andata. Sono puntuali, vanno diritti al treno, sono più disciplinati, qualcuno che ha alzato il gomito un po', è in « cerina », ride e fa ridere gli altri. Per prima cosa si raccontano dove sono stati a mangiare, cosa hanno mangiato, bevuto, quanto hanno pagato. Hanno mangiato bene e neanche pagato caro. Sono stati da « Vittorio », al « Cavaletto » in piazza delle Erbe, alla « Rosa », al « Pozzo Rosso », alla « Torre Vecia ». E, naturalmente, per ultimo, non si può lasciare Vicenza senza passare da « Gobbo », dietro il Duomo, da « Crosara », in Piazza Castello, dove tengono sempre quel buon vino nostrano. Le mutrie, i roversi, sono stati dalla « Pantegana » a San Giacomo, dalla « Cuccarola » a Ponte degli Angeli, hanno mangiato male e pagato caro. Il personale è screanzato. Sono clienti difficili, presuntuosi che battono sui piatti. Non c'è al mondo dispetto più grande per camerieri, come quello di battere sul piatto; è come le si battesse sul...! Il tram arranca allegro. Ceroni non c'è, questa corsa tocca a Crístofoletti, che raccoglie i soldi e dà il nastro. E via con qualche fischietto. Le compagnie « ciacolano », ognuno ha qualcosa da raccontare. Sono stati a vedere le « erbarole », quelle che vendono ortaggi in piazza, pezzi di belle more col cappello di paglia nera di Firenze e la penna di struzzo, con le cotole rialzate puntate con spilli di sicurezza mostrano una spanna di gambe. Zan, racconta l'avventura successagli. Colta da una occulta necessità corre da Pacina, sotto la Torre. Bei cessi, nuovi, con le piastrelle; come adesso. Una palanca per... consumazione. Zan sta lì a godersi la palanca dopo la consumazione che le capita a tiro una delle sue, coi suoi centoventi chili, con un rumore da vetri rotti; manco farlo apposta nella cabina accanto c'è una mutria che suda e fatica: « Gnanca vergogna! ». E Zan. « Cossa vorlo co na palanca sentire anca la boeme? ». E giù, tutti a ridere spassosamente. Fuori è buio. Palazzetto! Qua bisogna andar giù, non li fermerebbe nemmeno il Patto Atlantico. Una riverenza alla « passaia » e dentro dalla Siora Melia. Il fuoco è maestoso, gira l'arrosto coi « osei » e sotto una leccarda grande come una gondola, piena di polenta, anche la cucina « conomica » va a vapore con « pignatte, tece, casserole », un forno grande da mezzo vitello. Cosa interessava loro la posta, il telegrafo? Lo scrivere li faceva sudare una camicia. Gli affari si concludevano sempre per bocca, e basta. Carte e firme alla larga, tutta roba che ti porta dagli avvocati. Cristofolettí con la trombetta suona la chiamata. Anche la macchina fischia all'occorrenza. Si riparte. Il tram corre, corre la strada, corre il buio, tutto corre veloce (?). Via Cornedo, Casa Bianchina e si affronta rabbiosamente di petto la salita dei Noni strepitando e sbuffando scintille. Ce la fà, o non ce la fà? Se ce la fa arriva in stazione sfiatato e si squaglia con un lungo sospiro vaporoso; se non ce la fa rincula e si ferma un po' prima del ponte, a mettere su pressione e poi parte ringhioso alla riscossa. Cos'è, cosa non è, tutti corrono. La macchina è di traverso sulle rotaie, coricata di fianco, soffiando come un mostro abbattuto. Il fuochista, nero come uno scarafaggio, con uno stoppaccio acceso, col macchinista, guarda dentro fra le ruote. Ecco la « Molonara! ». No, è un'osteria tetra, fumosa, angusta. Avanti! A Cornedo sosta da « Traca ». Altra bella osteria dentro un recinto di cancellata. Ironia del caso proprio dove si ferma il tram! Si conclude con l'adagio di « Tutto il mal non vien per nocere », senza l'incidente del « repeton » non si sarebbe passata una serata migliore. Tra il lusco e il brusco, tra il tí vedo e non ti vedo, qualche coppia, con gli occhi spasimanti, si saranno leccati qualche bacio. Pazienza! C'è tanto posto fuori da starci anche questi. Si crede, però, con giudizio certo, che più in là non siano andati. Le donne; allora, erano stupidamente oneste. E intanto: E arrivano uno Valdagno. In un battibaleno si sparge la sensazionale notizia «el tran de andà for de strada! ». Robe da Campana martelo!
N. C. |
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Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi. Jane Austen |
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