Quella valdagnese è una gioventù bruciata? - pag3 PDF Stampa E-mail
MONDO GIOVANI - analisi
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Quella valdagnese è una gioventù bruciata?
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L’energia e le potenzialità dell’adolescenza sono spesso sprecati in una sorta di ottundi mento che sgomenta chiunque tenti la via di un dialogo autentico. Il ventesimo secolo ha visto lo sperpero di qualche milione di giovani vite in due guerre mondiali, e in tanti altri drammatici conflitti.
L’alba del ventunesimo fa paventare il sacrificio della nostra “meglio gioventù” sull’altare di un Moloch fuori controllo, che è lo sfruttamento intensivo dell’essere umano in quanto soggetto ed oggetto economico. Forse varrebbe la pena di valutare bene, prima di iscrivere nostro figlio all’ennesimo corso, o di comprargli l’ennesimo gadget, se non varrebbe invece la pena di perdere qualche ora di straordinari per essere a casa quando torna da scuola, e vederlo in faccia, invece che mandargli un sms.
Magari per leggere sul suo viso la sconfitta di una giornata, e cercare insieme la strada per uscirne, più forte di prima.   

Forse varrebbe la pena di negare a nostra figlia una serata in discoteca, e cercare di uscire insieme dal conflitto che certamente ne seguirà, ragionando sui costi e benefici della soddisfazione immediata e dell’assimilazioni alle leggi del gruppo, contro le priorità di un progetto di vita dove il divertimento ha un suo tempo e limite, e l’impegno e la fatica richiedono anche l’integrità fisica e psichica necessari al raggiungimento di mete quali la cultura e il titolo di studio, la stabilità affettiva, la soddisfazione personale.
Il futuro – personale e della società - richiede una costante manutenzione, e i nostri ragazzi hanno assoluto bisogno di cogliere la priorità di questa sorta di paradosso.
Cerchiamo di non cedere, noi per primi, al cinismo del “si salvi chi può”, che alla lunga non salva proprio nessuno. Il mondo è a portata dei nostri giovani, sia per la potenza dei mezzi di comunicazione che per la relativa facilità degli spostamenti.
Abbiamo il dovere morale di fargli comprendere che i grandi processi non sono ingovernabili, e sono alla portata dei loro sogni e delle loro necessità. Il fascino di personaggi come Barak Obama sta veramente in questo: “we can believe in change”: “possiamo credere nel cambiamento”.

Alla generazione dei papà e delle madri, dei professori e degli educatori, e di chiunque abbia coscienza civile, spetta il compito di trovare la forza per riavviare il motore, per dare un esempio e una speranza, per insegnare a credere in sé stessi. Come cantava, già nel 1977, il compianto cantautore Pierangelo Bertoli (1942-2002), bisogna trovare il coraggio e l’autorevolezza di dire ai nostri ragazzi, in qualche modo, e “liberando uno sguardo forte”, quello che a suo tempo hanno detto a noi: