QUALE GIOIA? Stampa
VITA PARROCCHIALE - catechesi

Riflessione religiosa domenicale a cura di don Gianluca Padovan

Siamo nel tempo di Pasqua, il tempo che durante l’anno liturgico è dedicato alla risurrezione e alla gioia, nell’attesa del dono dello Spirito a Pentecoste.
Eppure oggi la Parola di Dio ci parla di persecuzione, ci racconta alcuni momenti duri nei primi anni della Chiesa, quando anche grandi apostoli e predicatori come Paolo e Barnaba dovevano far fronte a fallimenti e rifiuti.

Il Vangelo non garantisce a chi lo proclama il successo. Anche se diciamo le parole del Signore, anche se compiamo i suoi gesti, insomma, anche se siamo buoni cristiani, questo non significa che ci andrà tutto bene, e nemmeno che tutti saranno d’accordo con noi e ci elogeranno.

Al contrario, essere fedeli a Dio significa andare incontro al rifiuto, all’incomprensione, alla persecuzione, che oggi assume volti diversi e non riguarda più il corpo ma gli affetti, la posizione sociale, i vantaggi economici…
Abbiamo davanti una grande tribolazione, Dio la promette a tutti noi che vogliamo essere cristiani. Ma non è una minaccia! Anzi, proprio nel raccontare un episodio simile, la Parola di Dio insiste nel sottolineare la gioia che pure è presente nelle difficoltà. Nella stessa città che alla fine rifiuta Paolo e Barnaba, molti al sentire il Vangelo si rallegrano e lodano il Signore, e gli stessi apostoli se ne vanno non con amarezza, ma pieni di gioia e di Spirito Santo.

Sì, questo è il dono di Dio. Non risparmiare miracolosamente le sofferenze e le fatiche, ma assicurare che in ogni momento di oscurità il Padre accenderà una luce di gioia che ci indichi il cammino su cui proseguire. Cerchiamola, fratelli, cerchiamo la gioia che Dio ha seminato nel solco delle nostre difficoltà, ed aiutiamola a germogliare e portare frutto.

Perché, lo sappiamo, il Padre non ci abbandona, come Gesù stesso assicura noi siamo nelle mani di Dio e nessuno potrà strapparci dalla sua tenera stretta. Siamo al sicuro, anche se afflitti da tante prove. Noi siamo nelle mani di un Dio che è nostro Padre, un Dio che ci garantisce la sua vicinanza, e anche attraverso i deserti quotidiani ci guida verso le fonti delle acque della vita.

Crediamolo fermamente: c’è sempre una sorgente sotterranea che scorre anche nei tratti più duri e aridi del nostro cammino. Dobbiamo tendere gli orecchi per sentirla, e poi scavare con tenacia per lasciarla scaturire. Attenti però, questa gioia potrebbe non essere come quella che vogliamo.
Le nostre gioie sono spesso gratificazioni di noi stessi: ci rallegriamo se siamo apprezzati, se viene fatto quello che noi vogliamo, se otteniamo vantaggi e riconoscimenti, se riusciamo ad imporci sopra gli altri e metterci in evidenza. Non è questa la gioia promessa da Dio.

Paolo e Barnaba non avrebbero motivo di gioia, in questo caso, poiché loro non ricevono complimenti né segni di affetto, e se ne vanno senza aver governato alcuna comunità. Però si rallegrano perché Dio è stato riconosciuto attraverso il loro servizio, ed ora si lasciano dietro dei credenti che lodano il Signore.
E noi, per cosa ci rallegriamo? Impariamo a gioire non per noi stessi, ma per Dio e per i fratelli, impariamo a sentire come una nostra gioia le gioie degli altri, perché è in questa condivisione che Dio fa sentire la sua voce. Dio ci chiama, Dio ha una vocazione per ciascuno di noi, la vocazione a sperimentare con gioia il servizio al prossimo e la lode a lui perseverando nelle difficoltà. Rispondiamo a questa sua chiamata!

Allora veramente sapremo dove il nostro pastore ci vuole condurre, e insieme a lui attraverseremo anche le tribolazioni fino ad entrare nella tenda del Padre, dove tutte le nostre lacrime saranno asciugate per sempre.