LA MATTINA DEL GIORNO DOPO - Pagina 2 PDF Stampa E-mail
AUTORI - Autori Locali - testi
Indice
LA MATTINA DEL GIORNO DOPO
Pagina 2
Pagina 3
Tutte le pagine

Salii sulla bici e mi avviai. La maschera rendeva difficoltosa lo respirazione e, senza maschera, era addirittura impossibile respirare; il cielo, invece di schiarirsi, si faceva sempre più tetro e caliginoso e sembrava venato d'inchiostro.
Che mattina disgraziata! Stavo forse sognando? Non stavo sognando affatto, purtroppo! Anche l'orologio di Crocco era fermo sulla mezzanotte e la temperatura non appariva. Sulle case e sulle fabbriche lo mano della morte avevo disegnato degli zero colossali, a significare probabilmente lo fine di tutto, il nulla.
A Cornedo, nel superare il ponte sull'Agno, mi venne fatto di guardare in giù, L'acqua non esisteva più e il fiume era un ammasso di barattoli, sacchi di plastica, rifiuti, alghe verdi.
La campagna verso Brogliano, di solito amena e lussureggiante, era una pena. Le viti si erano attorcigliate e seccate intorno ai pali e lo terra, giallastra, pullulava di ramarri e di scarafaggi, I contadini, impietriti, guardavano attraverso i vetri delle finestre lo spettacolo desolante.
La piazzetta di Brogliano era un deserto e lo successiva campagna un pianto,
Per superare pochi saliscendi dovetti dare fondo a tutte le mie energie. Arrivai finalmente alla discesa su Trissino. Pensando di essere in ritardo, innestai il rapporto più lungo e rischiai di cadere. Diedi le ultime violente pedalate sul piano e giunsi a scuola, Sul piazzale c'erano una ventina di ragazzi con le maschere: erano proprio i miei alunni, ma non mi fecero festa come al solito. Alcuni, anzi, piangevano.
Quando li ebbi accompagnati in classe, ci togliemmo le maschere e proprio i più affezionati cominciarono a rimproverarmi. Avevo cercato di iniettare in loro lo sprint, il gusto della vita, lo fiducia nel futuro ma, come tutti gli altri, li avevo ingannati. Avevo sempre fumato, avevo sempre gettato i rifiuti, avevo scaricato nell'aria i gas della mia Gilera, il mio di più non era mai diventato pane del bisognoso, mi ero costruito delle verità di comodo. Insomma, avevo predicato bene e razzolato male.
Cercai di giustificarmi, ma mi mancarono le parole. Mi sentivo in colpa e non riuscivo a far tacere il tarlo che mi rodeva. Dopo avermene dette di tutti i colori, i ragazzi si misero lo maschera e se andarono.
Mi sentii fallito, come uomo e come insegnante. Rimessa lo maschera inforcai nuovamente lo bici e, senza più preoccuparmi della scuola, mi diressi verso Arzignano.
La gente, fuori di sé, gettava nel fiume le pellicce e le scarpe di lusso. Qualcuno buttava nel grande immondezzaio addirittura i portafogli e non mancavano i soliti sciacalli che ne facevano incetta.
Tra Arzignano e Chiampo un orribile mostro divorava collane e gioielli e li rivomitava sotto forma di sterco rivoltante. Ne rimasi schifato.
L'istinto mi suggerì di proseguire per Marana. Superata Crespadoro, trovai lungo lo strada dei viandanti in pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica. Il bizzarro sole di quel giorno era appena spuntato dietro Cima Marana e invogliava a salire.
Sul volto della gente cominciavo a rivedere lo gioia. In salita, nonostante la mole, rendevo più del solito. Gettai lo maschera e le mie narici bevettero aria pura e salutare. Mi fermai, con altri, da un contadino che aveva appena sfornato il pane: che fragranza e che sapore! Con uno goccia d'olio, poi, il pane era un cibo da signori!