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SE E' POSSIBILE (E FORSE COME) AMMINISTRARE VALDAGNO (2 parte) |
POLITICA - commenti | |||||
di Antonio Boscato Sul problema se è possibile amministrare Valdagno, abbiamo avviato una riflessione su questo sito. Conduciamo ora un breve excursus di storia amministrativa degli ultimi 15 anni per comprendere perchè è così difficile "pensare Valdagno" in chiave di progetti e di realizzazioni.
Un piccolo imprenditore locale, appassionato sostenitore della nuova candidatura, mi dichiarava che: "il Dottore avrebbe rivoltato Valdagno come un calzino". C’era l’attesa di una nuova palingenesi per la città? Probabilmente si. Bosetti, da buon amministratore, si mette al lavoro con impegno e decisionalità, porta all'inaugurazione due opere già avviate precedentemente (traforo e ospedale) che, a livello locale, tuttavia non danno frutti sperati, la prima per il costo elevato del pedaggio (ma è solo per questo?), la seconda per uno spostamento di gran parte dei servizi sanitari qualificanti verso Arzignano. Risolve la questione dell'urbanizzazione della Favorita, permettendo la creazione degli svincoli del Traforo e la realizzazione della tangenziale est.
Dà infine esecuzione a una serie di interventi di manutenzione (piste ciclabili, grande rotonda del ponte dei Nori e interventi a pioggia all'interno della città...). Lo slogan che l'associazione “Area” aveva lanciato con la candidatura Bosetti (“Sei Comuni, una Città") abortisce prima di definirsi, per due elementi che sono tuttora in gioco: la vallata si sviluppa in modo lineare da nord a sud. Da Cornedo in poi guarda verso lo sbocco della valle. Agisce, inoltre, il localismo locale che impedisce di dare un contenuto concreto a un'idea molto generica e inconsistente (va ricordato che negli anni ‘70-’80 si era già parlato in maniera molto velleitaria di una possibile fusione di Valdagno e Cornedo). La stessa Valdagno è anche oggi un insieme di “frazioni” senza uno spirito di “città” (Maglio, Novale, Campotamaso, per non parlare poi delle zone collinari e delle contrade che hanno ciascuna propri interessi, tradizioni e punti di riferimento). Durante i nove anni dell'esperienza Bosetti non si forma una classe politica nuova, anzitutto per la forte tendenza ad accentrare su di sè le decisioni da parte di Bosetti, che non delega quasi nulla. I partiti nazionali poi (Lega, Forza Italia, AN), se pur presenti al momento delle elezioni, non svolgono alcuna attività politica locale. L'altro fallimento di Bosetti è la "Fondazione Festari" che doveva diventare il laboratorio dei laboratori per tutto l'Alto Vicentino. Alla fine diventa soltanto l'ente che gestisce le due sale di conferenza dell'omonimo palazzo. Vale la pena di notare che a Valdagno la memoria collettiva è una memoria a breve termine. Nel 2009, dopo il primo mandato di Neri, Bosetti si ricandida e, pur essendo giunto al ballottaggio, non viene rieletto nonostante i grandi meriti che la città avrebbe dovuto riconoscergli, e ciò anche per l'abbandono di gran parte del gruppo che l'aveva lanciato e sostenuto precedentemente. Accade anzi che qualcuno degli ex fedelissimi si ponga contro con attacchi anche personali: tramite e-mail; una non gran bella fine per un personaggio che, secondo una certa mentalità molto localistica, doveva rivoltare Valdagno come un calzino!
Nell’attività amministrativa, Bosetti rifletteva pure un altro difetto, proveniente forse dalla precedente esperienza di manager di una grande industria: il concetto di autosufficienza. Valdagno avrebbe capacità e risorse per trovare in sé soluzioni e risposte; è come dire che, forse, abbiamo poco bisogno di alleanze, di collegamenti all'esterno, di giocare insieme, e magari anche contro. Forse non ci si rendeva conto che Valdagno contava sempre meno di altri centri che acquistavano un maggiore peso economico e di conseguenza politico e che l’isolamento non avrebbe portato la città da nessuna parte. L'apatia della gente Lasciando ora le vicende strettamente amministrative, un attento osservatore esterno coglierebbe subito la profonda apatia della città che si esprime nel disinteresse della gente nei confronti dei problemi collettivi emergenti. Chiarisco: non è che la gente non mugugni quando gli pare che le cose non vadano bene o che non si mobiliti per qualche interesse particolare che la tocca da vicino (ad esempio, la gente di Novale ha protestato vivacemente per i disagi creati dalla lentezza dei lavori in via Bella Venezia), ma l'insofferenza non si trasforma mai in una attività politica. Cioè si vedono i problemi, ma si rifiuta di fare delle analisi e di formulare proposte dare contributi concreti. L'ultima grande manifestazione della gente per un problema sentito come un problema collettivo è stata in occasione della "marcia dei 10.000" in difesa dell'ospedale di Valdagno. Tale apatia appare più evidente se si fa il confronto con la partecipazione ai problemi della città quando ad amministrare la città c'erano i partiti. Maggioranza e opposizione si scontravano anche vivacemente con manifesti, volantini, giornali, lettere aperte sui giornali che informavano i cittadini sui vari punti di vista. Le minoranze attaccavano, la maggioranza difendeva, ma così si partecipava. Ora la delega espressa nel voto non è una delega in bianco. (continua)
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