BALILLA E PICCOLE ITALIANE. La scuola, i sogni, la vita. Stampa
Scritto da Redazione   
Lunedì 18 Gennaio 2010 16:37

Ecco un agile volumetto che non racconta la Storia, la ascolta, come testimonia il capitolo "Storia di Lina".
Un viaggio attraverso quaderni di aste e di bella calligrafia, la ginnastica del sabato e lezioni di economia domestica.
Ma anche tra le difficoltà affrontate, la forza e la fede per costruirsi il futuro.

 

C’è chi è diventato sindacalista, chi insegnante, chi camionista,  chi suora di clausura.
E chi, come Angelo, nato nel 1906, ha visto oscurarsi il cielo per gli aerei di due guerre e da  bambino giocava a palline, e quelle di vetro valevano doppio.E' un incontro con tanti ora anziani di Valdagno che testimoniano la loro vita, povera di mezzi materiali, ma ricca di lavoro, difficoltà e sentimenti di unanità.

Cristina Bobber è nata a Cismo del Grappa il 9 novembre 1961 e vive a Solagna, lungo le rive del Brenta. E' corrispondente del"Il girnale di Vicenza". Ha già pubblicato primi baci" alla seconda edizione sempre con Attilio Fraccaro Editore e "Amiche e ortiche" edito da Baldini Castoldi Dalai.

STORIA DI LINA NATA NEL 1922

Andavo a scuola all'Istituto Marzotto. Avevo una maestra abbastanza buona, quella di mio marito dava le bacchettate, la mia no. Avevo un'amica, stavamo sempre insieme, facevamo le lezioni a casa mia. Ora è in casa di riposo, ha perso la testa. Giocavamo a chi salta più scalini, sulla rampa, a saltare la corda e a campana. Oppure a cerchietto: bisognava lanciarsi dei cerchietti l’una con l’altra, e riuscire ad infilarli con dei bastoncini.
Dopo le elementari ho fatto l'avviamento, per tre anni. Si diventava tessili e tintori e poi si andava tutti a lavorare in Marzotto, già a dodici, tredici anni.
Ci insegnavano a far le pulizie, come lavare le maglie di lana, come smacchiare; ai maschi invece tessitura e falegnameria.
Lavavamo le posate con l'olio fumante, con le scaglie in pietra.
I pavimenti di legno li strofinavamo in ginocchio con il boschetto, che ha le setole dure e grosse.
Per insegnarci a piegare tovaglie, lenzuola e asciugamani, usavano un quadrato di cartone rigido e vi posavano dei fogli di carta sottilissima piegandoli nella giusta maniera.
La teoria si faceva in classe, poi si metteva in pratica in un appartamento vuoto che faceva parte della scuola. Qui si cucinava, si facevano i letti, si spazzava, si pulivano le porte. Ancora adesso stiro come mi hanno insegnato.
Si imparava a lavorare a maglia e a ricamare; a tutte le tende che ho in casa ho fatto il gigliuccio a mano. Anche le mie figlie le ho mandate a scuola di taglio e cucito, dopo la laurea. Si facevano anche da vestire. Io per i miei figli facevo anche le mutande, con le cappette a punto smerlo.
Studiavamo canto corale, mi ricordo ancora il Nabucco. Mi piaceva tanto la geografia, avrei voluto viaggiare. Da Marzotto organizzavano i viaggi, si trattenevano i soldi dallo stipendio, a piccole rate, e ti  portavano anche in Egitto, in America. Ti accompagnavano loro, bisognava iscriversi all' “Incontro club” e si poteva partecipare. Io non ho potuto per via dei figli, sono stata solo a
Venezia. Era un bell'ambiente di lavoro. Il Conte Gaetano era una persona squisita. Ci ha sempre pagato, anche quando siamo stati due mesi a casa perchè avevano bombardato un'ala della fabbrica. Avevamo i rifugi vicini, suonava la sirena e si correva.
A scuola si marciava, si faceva il saluto romano; ci portavano a un campo sportivo per la ginnastica. Io ero brava a correre, partecipavo alle gare, era un modo per evadere perché mia mamma era molto severa, era del 1880.



Poi è arrivata la guerra. Mi ricordo bene quel giorno. Suonavano le sirene, ci hanno mandati fuori dalla fabbrica e siamo andati tutti in piazza e ci hanno fatto l'annuncio. 
Non tutti applaudivano, c'era gente che piangeva.
Accompagnavamo gli amici che partivano per il fronte, e tanti non sono tornati. Era triste, soprattutto le prime volte. Mi ricordo di un professore di italiano che all'avviamento ci spiegava bene le poesie; anche lui è partito ed è morto. Non si sapeva niente di quello che succedeva.
Io avevo una radiolina, a furia di chiederglielo mia mamma l'aveva comprata, per 900 lire. Le uniche notizie si sentivano lì.
Con il fascismo bisognava stare attenti a non dire mai niente di quello che si pensava, specie nel '43 è stato tremendo, ne hanno fucilati parecchi.
Anche il conte Gaetano era fascista, lo eravamo tutti. Chi andava a lavorare doveva iscriversi al partito. Mia mamma non era iscritta perchè non era mai stata in fabbrica. Non ha voluto consegnare la fedi ai fascisti, mi ha mandato a portare l'oro, ma le fedi no.
Non si pensava che la guerra fosse una cosa così grande.
Quando ero piccola mio papà mi raccontava della prima guerra mondiale, delle sue storie, delle trincee sul Pasubio, ma mi sembravano favole.


STORIA DI MADDALENA NATA NEL 1941


All’asilo c'erano le suore, vestite di nero con un grande collettone bianco. Mi ricordo di questi saloni enormi ben lucidati; un giorno sono scivolata con la lingua fra i denti, se ne è staccato un pezzetto. La suora mi ha portato al pronto soccorso, mi pare fosse interno alla fabbrica; ricordo il suo collettone tutto sporco di sangue. Adesso, mi dicevano, sarai costretta a stare zitta per un po’, chiacchierina come sei. Le suore erano affettuose e dolci, all’asilo ci facevano disegnare e fare lavoretti. Delle suore mi ricordo che nel ‘49, quando ho fatto la prima comunione, si raccomandavano con noi bambini che i genitori votassero democrazia cristiana.
Mio marito non è andato all’asilo, viveva in un paesino nella valle del Chiampo, dove i bambini andavano nei campi, portavano in giro le bestie. E’ andato direttamente alle elementari, senza saper tenere una matita in mano. La sua maestra lo metteva in castigo dietro la lavagna. A Valdagno eravamo più aperti. La scuola elementare aveva le cucine e ci si fermava a mangiare tante volte, era ben riscaldata. Mettevamo le pantofole, che tenevamo negli armadietti. Indossavamo grembule nero con collettino bianco. Scrivevamo con inchiostro e calamaio, si cominciava con le aste dritte, poi oblique e ci insegnavano la bella calligrafia; ogni lettera aveva una parte più sottile ed una ingrossata.


Al dopolavoro aziendale ha messo a disposizione delle sale per gli studenti, avevamo un bar interno, una sala lettura con riviste di tutti i tipi e un salone enorme con il juxe box dove il sabato pomeriggio e la domenica si poteva ballare.
La città sociale fu costruita nel ‘36. C’era tutto, chiesa, farmacia, scuole,  un ospedale, lo stadio, la piscina, scuola di scherma e di equitazione, e a prezzi accessibili.
A Valdagno c'erano quattro sale cinematografiche, adesso ne abbiamo solo una.
Il Teatro Impero era enorme. Subito dopo la guerra vi ho ascoltato alcuni concerti della Fenice di Venezia, veniva Vanda Osiris.
Quando molti anni dopo, nel ‘69, Marzotto ha licenziato degli operai, c'è stato uno sciopero che è durato a lungo. Sono scesi i sociologi dell'università di Trento e hanno abbattuto il monumento dedicato al conte; la popolazione ha reagito male, era il crollo di un mito. Ma nell’aria era forte il  desiderio di cambiare le cose.

 

 

Ultimo aggiornamento Lunedì 18 Gennaio 2010 17:00