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di Federico Maria Fiorin 

 

Valdagno è una bella città, purtroppo sporca.  Non tutta, e non sempre. Ma in alcuni luoghi e con una frequenza che appare in aumento. Crescono infatti le segnalazioni che i cittadini pubblicano sui social per evidenziare episodi di degrado urbano come l’abbandono di rifiuti, la presenza di deiezioni canine, le scritte sui muri.

Sgomberiamo subito il campo dalle facili speculazioni politiche: queste situazioni non sono imputabili all’Amministrazione comunale, anche se è evidente: l’Amministrazione comunale non può restarne indifferente.  Di più: il tema del degrado urbano e della conseguente percezione di sporcizia di una città, non riguarda solamente Valdagno.

Da Roma (addirittura considerata la più sporca capitale al mondo) a Venezia, da Trento a Vicenza, da Torino a Bologna, tralascio le città del sud Italia dove peraltro non credo che la situazione sia migliore, mentre indico anche Merano, città che amo e frequento con una certa assiduità, è un susseguirsi di segnalazioni, interrogazioni consiliari, denunce riguardanti il sempre più frequente degrado ambientale, che si manifesta soprattutto con l’abbandono indiscriminato dei rifiuti.

Ovviamente va respinta l’idea di un mezzo gaudio, trattandosi di un problema comune, ma piuttosto bisogna capire perché questo fenomeno è in preoccupante aumento. Tornando quindi a Valdagno, la situazione assume un aspetto più diffuso in prossimità delle aree dove sono presenti esercizi commerciali (bar, supermercati, pizzerie ecc.), e in particolare nella zona dell’ex foro boario, del maglio di sotto e nel quartiere di Ponte dei Nori, dove peraltro abito e che considero il più strutturato quartiere della città, perché rappresenta un raro esempio di urbanizzazione a misura di cittadino, in quanto in un raggio di 300 metri sono presenti tutti, ma proprio tutti, i servizi necessari al vivere quotidiano, al netto purtroppo del recente sfregio ambientale rappresentato dalla costruzione di due edifici residenziali nell’area precedentemente occupata dalla ex caseificio (esempio negativo di come cancellare la memoria storica di una comunità per lasciar spazio alla speculazione edilizia; situazione a cui peraltro hanno fortunatamente risposto i cittadini, scegliendo un cambio di passo amministrativo: in cinque anni nel quartiere di Ponte dei Nori i gruppi consiliari dell’ex maggioranza hanno perso più del 55% dei consensi! n.d.a.).


Spesso tra le cause di queste situazioni, si imputa una scarsa presenza di cestini portarifiuti, che in effetti sembrano in generale diminuiti, ma non per esempio nel quartiere di Ponte dei Nori.

Dall’altra parte la riduzione dei raccoglitori dei rifiuti viene fatta passare come una scelta di civiltà: non c’è la necessità di cestini portarifiuti perché le persone educate e civili non sporcano, e quand’anche capitasse, raccolgono i rifiuti che producono e se li riportano a casa. Questo modus operandi sembra particolarmente diffuso nelle città del nord Europa, dove i cestini portarifiuti stanno ormai del tutto scomparendo.

Meno prosaicamente, da noi, la verità forse è un’altra: la società pubblica che gestisce la raccolta dei rifiuti deve tagliare i costi e recuperare ore-lavoro; riducendo il numero dei cestini portarifiuti recupera le ore-lavoro, e considerando che nei cestini non si fa la raccolta differenziata ma si butta dentro di tutto, si tagliano anche i costi di gestione.

Ma a questo punto possiamo affermare che Valdagno trenta o quaranta anni fa era una città più pulita? La fortuna nostra è che abbiamo la memoria corta, e tendenzialmente ricordiamo solo ciò che ci stimola sensazioni positive. Ma nonostante trenta o quaranta anni fa il numero dei netturbini fosse decisamente superiore a quello di oggi, anche per il fatto che la raccolta dei rifiuti era un servizio che gestiva direttamente il comune, no…. la città non era più pulita. Carte gettate per terra, mozziconi di sigaretta deiezioni canine, sputacchi e molto altro ancora erano una costante sulle nostre vie e sui nostri marciapiedi.

Grazie ad una sensibilità ambientale che negli ultimi anni si è molto rafforzata, merito sia delle iniziative intraprese dalle associazioni ambientaliste, ma anche dell’esempio di singoli cittadini che si prestano in modo del tutto volontario a prendersi cura di aree della città, una dimostrazione concreta di bene comune, si può al contrario dire che il livello di pulizia della città è in genere migliorato. Tuttavia poiché al pari si è anche alzato il livello di attenzione verso il decoro urbano, e questo ovviamente è un segnale positivo, ecco che imbattersi nella carta o nella bottiglia di plastica abbandonate per terra, oggi crea un fastidio ben diverso di quanto non lo potesse creare qualche decennio fa.


È quindi evidente che la questione ambientale è a tutti gli effetti una questione culturale: più il livello culturale di un ambiente antropizzato è alto, più è probabile che l’ambiente venga percepito come un bene comune.

Esistono poi anche le leggi o le iniziative di moral suasion (peraltro sotto questo aspetto l’Amministrazione comunale potrebbe fare molto di più): il nostro codice dell’ambiente, che ha oramai quasi vent’anni di vita e che punisce i reati ambientali sia con sanzioni amministrative sia con sanzioni penali, è uno strumento utile e necessario, e andrebbe fatto applicare con maggiore rigore.

Ma il primo passo verso una piena e matura consapevolezza del valore comune dell’ambiente, nasce dal nostro livello di educazione e di istruzione, che poi qualifica il nostro grado di civiltà, e che non è certificato soltanto dai titoli di studio, ma è invece l’espressione del nostro sentirsi parte di una comunità, che andrebbe percepita come un valore universale, e in quanto tale desiderabile per la convivenza civile e il benessere sociale. Quindi se qualche volta ci capita di considerare la bella città di Valdagno, sporca, dovremmo ragionare al contrario: la bellezza della città aumenta quanto più diminuisce il nostro grado individuale di sporcizia e inciviltà.