All’”Epilobium base camp” troviamo su un sasso la scritta “2007”, fatta dal gruppo esplorativo di Franco Brunello (CAI Montecchio), passato di lì quell’anno, e ci rendiamo conto di quanto sia selvaggio questo luogo.
Ai miei occhi il nostro viaggio appare come un trekking davvero avventuroso (lungo il ghiacciaio scopriremo che è anche alquanto “alpinistico”). Ci sentiamo come gli esploratori russi e britannici che ai tempi del “Grande gioco” cercavano di raccogliere importanti informazioni su questi luoghi ancora mai attraversati da europei.
Dopo due notti all’” Epilobium base camp” iniziamo ad affrontare il ghiacciaio e ci prepariamo a raggiungere il punto più alto del nostro trekking: l’Amin pass a 5070 m.
Sarebbe dovuta essere una traversata semplice su ghiaccio fossile, invece il ghiacciaio ci impegnerà tre giorni, tra crepacci infiniti e meteo avverso. Nonostante ciò è la parte del viaggio che preferisco. È emozionante seguire l’evoluzione di quel ghiacciaio dall’inizio alla fine. È un po’ come conoscere qualcuno per più anni e vederne i cambiamenti nel corso della vita: dalla nascita del ghiacciaio nella morena scura e scivolosa, fino alla sua dolce morte nella laguna glaciale disseminata di ice-berg.
Passo la mia prima notte con la tenda sulla neve e, freddolosa come sono, tento ogni stratagemma per concentrarmi, dal cappello in testa, alla borraccia con l’acqua calda sui piedi. Durante la nostra prima notte in ghiacciaio veniamo spesso svegliati da scariche di sassi che cadono dall’alto, per fortuna lontane dal nostro accampamento. Come scopriamo ben presto, ogni fenomeno qui è ingigantito, una valanga quando scende da queste cime di 7000 m ci lascia per un attimo sbigottiti. Quando al secondo giorno di cammino raggiungiamo l’Amin pass a 5070 m, ancora una volta resto senza parole di fronte a tanta grandezza.
Vi arriviamo procedendo in cordata con molta calma e per noi raggiungere quella quota è una grande soddisfazione. Il tempo per il momento è buono e attorno a noi ci sono cime senza nome ricoperte di neve. Dopo qualche foto di rito con i portatori, continuiamo la traversata. Ancora crepacci. Tantissimi. Ad un certo punto un membro della mia cordata finisce dentro un crepaccio facendomi quasi cadere: per fortuna la corda di sicurezza funziona, la sua caduta si arresta e in men che non si dica venti portatori sono pronti a tirarlo su. Anche i portatori baltì procedono legati, anche se la loro attrezzatura è ben più spartana. Li incrociamo spesso e ci superano, legati con un semplice cordino, con addosso delle sneackers che io non userei nemmeno per andare in piazza a Vicenza. Sul ghiaccio loro soffrono un po’ il freddo e infatti, per la notte, scegliamo un posto in ci sia anche della roccia per permettergli di riscaldarsi un po’ di più sotto i teli che utilizzano per dormire.
Passiamo un’ulteriore notte (sempre gelata) intermedia e continuiamo la traversata. Il labirinto di crepacci prosegue e il ghiacciaio sembra un mare senza fine. Camminiamo per 28 km cercando il nostro filo d’Arianna nel labirinto e saltando crepacci come acrobati e alla fine, un po’ stanchini, ci ritroviamo alla conclusione del ghiacciaio: una laguna glaciale. Lì ci accampiamo e proseguiamo in una valle che alterna prati verdeggianti a rocce scure, mi sembra quasi di essere in Scozia.
Veniamo nuovamente colti dal maltempo e inizia a nevicare. Di notte ho la sensazione che la tenda mi stia crollando addosso: è neve. Sono caduti quindici centimetri di neve, tutto attorno a noi è imbiancato e il passo Zyndicaran (4700m) , che dovremmo attraversare, è nascosto sotto una coltre di nebbia. Le condizioni non sono delle migliori e siamo di fronte ad una difficile scelta. Non sappiamo quanta neve possa esserci in cima e non siamo sicuri che tutto il gruppo riesca ad affrontare questo tipo di percorso o si riesca a farlo in sicurezza.