CATTOLICI E ORTODOSSI IN ITALIA: UNA POSSIBILE E CONCRETA
PROPOSTA DI INTEGRAZIONE NEL NOME DEL TRICOLORE
di Federico Maria Fiorin
Si stima che il numero dei cristiano – ortodossi attualmente residenti in Italia, sia di poco inferiore ai 2 milioni di persone, il 3,2% circa della popolazione residente. L’arrivo degli ortodossi nel nostro Paese è coinciso in particolare con il crescente flusso migratorio dall’Europa orientale, iniziato all’indomani della caduta del muro di Berlino, e consolidatosi successivamente con l’ingresso nell’Unione Europea di molti Paesi dell’est Europa di prevalente religione ortodossa. Oggi i cristiano - ortodossi rappresentano un’importante minoranza presente sul territorio italiano (a Vicenza sono circa 30mila) portatori di una cultura e di una tradizione straordinariamente ricca e affascinante.
Ne è un esempio la città di Venezia dove la Chiesa di S. Giorgio, con gli edifici adiacenti, territorialmente delimitati, durante il periodo del dominio turco nei territori bizantini, divenne per i greci della diaspora una seconda patria, salvaguardando così la cultura e l’unità di un popolo. Si può dire che Venezia, insieme al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e ai monasteri del Monte Athos, seppe preservare la tradizione e la cultura bizantina e trasmetterla alla nascente nazione greca nel secolo XIX.
Come noto i cristiano-ortodossi seguono il calendario giuliano, che differisce di tredici giorni dal calendario gregoriano, e così ad esempio mentre i cattolici festeggiano il Natale il 25 dicembre, gli ortodossi lo festeggiano il 7 gennaio. Anche durante le ultime festività, in occasione del Natale ortodosso sono stati molti i messaggi di auguri che i cittadini di religione cattolica, hanno voluto rivolgere ai cittadini di religione ortodossa: un segno di rispetto, vicinanza e riconoscenza che, a mio parere, sottolinea tra l’altro il desiderio comune e attuale di cercare momenti di reale integrazione tra comunità che oramai fanno parte a pieno titolo di uno stesso ed unico tessuto sociale.
Ma se il 25 dicembre per lo Stato italiano, di tradizione cattolica, è una giornata festiva legale che coinvolge credenti e non credenti, perché non lo potrebbe essere anche il 7 gennaio? Forse che festeggiare la nascita del Gesù cattolico è più meritevole che festeggiare la nascita del Gesù ortodosso?
Certo potremo anche riporre la nostra fiducia nell’avvenire, confidando sul fatto che magari nel 2054, in occasione della ricorrenza dei mille anni dal grande scisma d’oriente, la chiesa cattolica e quella ortodossa possano riunificarsi, e allora forse il Natale sarà per tutti il 25 dicembre, ma tuttavia riuscire a dare dei segnali di integrazione un po' più rapidi, non sarebbe una cattiva idea.
La circostanza fortuita che potrebbe venire incontro a questa esigenza, che da un punto di vista laico rimane esclusivamente quella di cercare concreti strumenti di integrazione tra persone che appartengono ad una stessa nazione, ma che provengono da culture e tradizioni differenti (esiste per esempio già la legge 8 marzo 1989, n. 101 che stabilisce che “nel fissare il diario delle prove di concorso le autorità competenti terranno conto dell’esigenza del riposo sabbatico”, a tutela dei cittadini di religione ebraica) è data proprio dalla giornata del 7 gennaio.
Infatti da quasi trent’anni il 7 gennaio è la giornata nazionale della bandiera italiana, istituita con la legge 31 dicembre 1996, n. 671, a ricordo della prima adozione del tricolore avvenuta nella città di Reggio Emilia il 7 gennaio 1797.
Il tricolore appartiene ai quei beni immateriali in grado di evocare un forte senso di appartenenza e di identità nazionale. Forse per l’Italia non è stato sempre così, fatta eccezione per le grandi vittorie sportive o le adunate degli Alpini, dove la bandiera diventa la vera protagonista. Tuttavia a differenza di altre ricorrenze (penso al 25 aprile, che personalmente ritengo sia una ricorrenza irrinunciabile, ma che mi rendo conto possa anche essere divisiva, e soprattutto per i nuovi cittadini italiani, magari nati e cresciuti in altri contesti storico-culturali, non rappresenta quell’idem sentire, che invece appartiene alla coscienza mia e di altri milioni di cittadini nati, cresciuti ed educati nella cultura antifascista) potrebbe effettivamente rappresentare un concreto simbolo di unità nazionale, comprensibile a tutti, e in modo particolare ai nuovi italiani che lentamente, ma inesorabilmente acquisiranno sempre maggiori spazi nel contesto sociale, politico, economico del nostro Paese, che è anche il loro.
Festeggiare in forma solenne dunque la bandiera nazionale nella giornata del 7 gennaio non toglie nulla al sistema Paese in termini di competitività economica (rimaniamo comunque all’interno di un periodo festivo che generalmente inizia il 24 dicembre per terminare il 6 gennaio, ma molto spesso anche qualche giorno dopo), e forse invece aggiunge: aggiunge la possibilità di rafforzare il nostro – di tutti i cittadini soprattutto di quelli provenienti da altre realtà – sentirsi italiani; aggiunge la possibilità di rivolgere una attenzione particolare ai cittadini di religione ortodossa; aggiunge la possibilità di un leggero prolungamento delle iniziative commerciali, tradizionalmente collegate al periodo natalizio.
Ammesso che la proposta possa contenere in sé un valore meritevole di attenzione, come fare per raggiungere l’obiettivo? O confidare sul buon senso e la raffinata intelligenza del Legislatore, oppure richiamarsi all’articolo 75 della Costituzione per promuovere un referendum abrogativo della legge n. 671/1996. In questa seconda ipotesi risulterebbe sufficiente togliere l’avverbio di negazione “non” inserito al termine del comma 1 dell’articolo 1 che così recita: “prevedere il carattere non festivo del giorno stesso”. In questo modo il secondo periodo del comma 1 risulterebbe così riformulato: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sono fissate le modalità delle celebrazioni annuali che devono, comunque prevedere il carattere festivo del giorno stesso”.
Del resto riprendendo una frase di un grande manager industriale, Sergio Marchionne, “L'Italia è un paese che deve imparare a volersi bene, deve riconquistare un senso di nazione.”, questo potrebbe forse rappresentare un primo, piccolo, inizio.
Un ultimo inciso: il particolare, e per certi versi preoccupante momento storico che stiamo attraversando, meriterebbe anche di riscoprire il valore del nostro essere cittadini europei. La Giornata dell’Europa si celebra il 9 maggio a ricordo della dichiarazione del Ministro degli esteri francese Schuman, che il 9 maggio del 1950 espose l’idea della creazione di una comunità europea del carbone e dell’acciaio, e che viene considerata l’atto di nascita dell’attuale Unione Europea. Il 9 maggio è anche la Giornata della Vittoria che in Russia si celebra in forma solenne, per ricordare la fine della Seconda guerra mondiale.
Che sia necessario per l’Unione Europea ricostruire un dialogo con la Federazione Russa è sotto gli occhi di tutti, tanto per arginare le mire espansionistiche russe, quanto per riportare al centro della scena politica l’Unione Europea, oggi drammaticamente collocata in una posizione marginale, e non ultimo per riprendere una collaborazione economica sul fronte energetico, che altrimenti rischia di penalizzare oltremodo e solamente i cittadini europei. Ecco, anche in questo caso, una ricorrenza comune potrebbe contribuire a portare una maggiore serenità tra le Nazioni.
25 febbraio 2025