Mi sentii fallito, come uomo e come insegnante. Rimessa lo maschera inforcai nuovamente la bici e, senza più preoccuparmi della scuola, mi diressi verso Arzignano.
La gente, fuori di sé, gettava nel fiume le pellicce e le scarpe di lusso. Qualcuno buttava nel grande immondezzaio addirittura i portafogli e non mancavano i soliti sciacalli che ne facevano incetta.
Tra Arzignano e Chiampo un orribile mostro divorava collane e gioielli e li rivomitava sotto forma di sterco rivoltante. Ne rimasi schifato.
L'istinto mi suggerì di proseguire per Marana. Superata Crespadoro, trovai lungo la strada dei viandanti in pantaloncini, maglietta e scarpe da ginnastica. Il bizzarro sole di quel giorno era appena spuntato dietro Cima Marana e invogliava a salire.
Sul volto della gente cominciavo a rivedere lo gioia. In salita, nonostante la mole, rendevo più del solito. Gettai la maschera e le mie narici bevettero aria pura e salutare. Mi fermai, con altri, da un contadino che aveva appena sfornato il pane: che fragranza e che sapore! Con una goccia d'olio, poi, il pane era un cibo da signori!
Il paesaggio non era più triste e desolato, ma piacevole e accogliente. Dagli alberi pendevano le ciliegie.
Le sorgenti invitavano a dissetarsi. A Marana sembrava esserci il ritrovo di una nuova umanità, pronta a purificarsi e a volersi bene. Vi trovai anche i miei alunni, inclini al perdono e sorridenti.
Bisognava andare in cima al monte: lo avvertii come esigenza imprescindibile dentro di me.
Appoggiai la bici ad un muro e incominciai l'ascesa. I ragazzi mi seguirono alacri e festanti.
L'erta era ripida e lunga, ma l'energia che ci scorreva nelle vene fece il miracolo: arrivammo sulla sommità in tempo relativamente breve.
Luca grondava sudore da ogni parte e Linda aveva la faccia rossa come un papavero. Claudio aveva rimosso la sua noia abituale e Simonetta era ancora scattante come una pulce.
Ci sedemmo sull'erba. Mi accorsi che fra me e i ragazzi il feeling era quello di sempre. Enrico, di solito taciturno e appartato, mi si avvicinò con il vangelo in mano. Lo aprii, cercò lo pagina e me lo porse, pregandomi di leggere ad alta voce. lo ubbidii, senza battere ciglio: "Beati".
Libero Riceputi romagnolo delle colline di Cesena, è stato insegnante per molti anni nella scuola media di Trissino prima e alla Garbin di Valdagno, prima di ritornare nella sua regione. È poeta e narratore di rara finezza psicologica e grande umanità e con una religiosità sincera quale i “Romagnoli” sanno esprimere, attento ai motivi ecologici che oggi sono molto presenti ma che nel 1989 (anno di pubblicazione del racconto a pubblichiamo già apparso sulla Rivista “Appunti - Vita della Valla dellìAgno”) erano meno “ricercati”. A Valdagno ha pubblicato presso la CEDIV i volumi “Cipolle e spicchi di cielo” e “Rom-agno mio”.