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di Antonio Boscato*

Quanto parliamo? Poco. Come parliamo? Male. Tornare a parlare, a parlare con dei contenuti e, soprattutto "a parlarsi", non potrebbe essere questa una piccola/grande ricetta al "bene-essere"?

Come inizia per la Bibbia il racconto della nascita dell’universo e, soprattutto, la nascita dell’umanità? Da una parola. “Dio disse: Sia la Luce”; e ancora “Dio disse: Facciamo l’uomo…”.

La parola “crea”. Il che evidentemente non è solo prerogativa di Dio, perché da quando abbiamo il linguaggio, da quando usiamo parole, anche noi siamo “creatori”. La nostra parola può portare gioia o tristezza, può iniziare o concludere una relazione, un rapporto.

La parola può creare ma può anche ingannare; si dice che la parola “seduce” in un senso o in un altro. Se uno parla è perché “desidera” parlare, cioè entrare in relazione, anche parlare con sé stessi è desiderare di essere in relazione.

Qualsiasi frase che noi usiamo per comunicare ha bisogno di “sostanza” (una persona, un oggetto, un verbo sostantivato) di cui parlare e un “verbo” (indichiamo una azione). Volendo semplificare, diciamo che è presente un “essere” (esistere) e un “fare” (produrre). Attraverso strutture linguistiche (l’analisi logica) noi descriviamo, approfondiamo, raccontiamo…

In un incontro con un gruppo di lavoro sul tema “Parola e Ascolto” con alunni moltissimo tempo fa ho posto la seguente questione: “Immaginiamo una foresta dove non ci sia alcun essere vivente, animale o uomo. Cade un grandissimo albero con grande spostamento d’aria, la caduta fa rumore?

Alla domanda gli alunni erano rimasti perplessi e si sono divisi tra chi pensava di sì e altri che propendevano per il no, pur a maggioranza pensando che la caduta produceva rumore (“Perché il rumore c’è sempre anche se nessuno lo ascolta”; ma c’è rumore o solo spostamento d’aria?).

Questa domanda mirante a stimolare gli alunni, era stata lì per lì improvvisata però poi ho richiamato alla mente che proprio la stessa questione negli stessi termini era stata posta da George Berkeley nel ‘700 all’interno di una allora dibattuta questione filosofica: gli oggetti non esistono se non sono percepiti (“esse est percepì”). Nella nostra immaginaria foresta non ci sarebbe quindi rumore.

"C’è poco, nessun ascolto”. È una delle grandi questioni, insieme a tante altre, che entrano nella definizione della nostra età in perenni crisi, alla ricerca di analisi, cambiamenti, riforme, fughe… Nessuno sembra ascoltare quelli che fanno della parola il loro strumento di lavoro: insegnanti, preti, intellettuali, uomini di pensiero…