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Illuminante può essere una personale testimonianza risalente a molti anni fa, ma forse oggi ancora attuale. In una discussione che facevo con un imprenditore del mio territorio mi sono sentito rivolgere esattamente questo discorso: “voi professori non “concludete” niente perché non fate altro che “chiacchierare”, mentre noi (imprenditori) dobbiamo lavorare, non perdere tempo, perché noi a fine mese dobbiamo pagare gli operai”.

Il significato non tanto nascosto di questa affermazione “bruta”? La parola non serve se non è finalizzata a un obiettivo concreto, preciso. In fin dei conti l’imprenditore doveva dare ai suoi operai indicazioni coerenti, essenziali, chiare. La parola serve solo se “produce”. La letteratura, la poesia, la riflessione sulle idee vanno bene per chi ha tempo (da perdere?), non per chi ha problemi quotidiani?

Invece bisogna credere anche al valore “imprenditoriale” della parola. Si può essere “imprenditori” di parole perché con le parole produco e realizzo. Ogni creazione educativa nasce dall'esempio e dalla parola.

E sulle parole "vuote"? Non servono esempi e citazioni; sappiamo benissimo quanti incontri facciamo ogni giorno con parole “insignificanti (cioè che non “lasciano alcun segno”).

Noi parliamo di parola “efficace”, cioè quando per il suo contenuto o per le sue qualità si fa ascoltare, è ascoltata, produce risposte. Quando nasce un vero dialogo la parola diventa creatrice ed efficace, ma ad alcune condizioni.

Diventa fondamentale pensare prima a quello che si dice. La parola diventa espressione di un pensiero compiuto, ma anche le parole “giuste” hanno il loro peso nel determinare l’efficacia. Capita che spesso noi pensiamo di parlare a un altro ma senza riconoscerlo nella sua possibilità, capacità di ascolto. Gesù con le sue parabole sapeva benissimo a chi parlava. I discorsi teologici sono venuti dopo, ma quanto all’efficacia la parabola rimane insuperabile.

Nel passato qualche (raro) insegnante parlava ad alunni delle medie come se avesse davanti alunni di un liceo, magari si sentiva bravo, voleva dimostrarlo e, quindi, “volava alto”, ma non aveva presente chi aveva di fronte. Ma è vero anche il contrario: gli alunni di terza media non sono quelli di quinta elementare! Capire come sono maturati in tre anni, quale mondo giri nella loro testa non è facile.

Un banale test della crisi odierna della parola “efficace, creatrice”, che nasce dalla scarsa capacità di pensare, lo si può fare ovunque, basta avviare con un qualsiasi interlocutore un discorso “importante” (circa il senso della vita, il destino dell’uomo, sul male, sulla presenza di Dio…), vi troverete davanti a una fuga, mentre sarebbe importante se fossimo capaci di distinguere tra parole e concetti banali e quelli che riescono almeno a toccare l’attenzione del destinatario.