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A questo punto, si capisce che ogni proposta per il trecentesimo non può che puntare al ribasso. Bollare di utopismo chi mira più in alto è soltanto comodo, rischia di diventare un vezzo da recoarotti cui va bene tutto e il contrario di tutto. I recoaresi invece sono brava gente, sanno fare di tutto. C'è chi suona, chi versifica, chi declama, chi esplora, chi con finte ali si butta dalle montagne, chi recita, chi canta, chi s'arrampica sui campanili. Hanno fegato, un cuore largo, e le mani d'acciaio; e la testa, qualche volta, di pastafrolla.

Non che non producano idee,questo no. Magari pochine, non proprio grandiose e rivoluzionarie, ma certe buone idee, le fanno nascere, le "partoriscono" come si dice. Soltanto che, simili a quei raccapriccianti palloncini di chewing-gum che crescono in bocca a certi ragazzini, troppe volte queste idee finiscono spiaccicate e collose, frantumate in brandelli filamentosi fastidiosamente appiccicaticci. Affiora alla mente, fra le tante, una Recoaro Duemila. Ne parlavano tutti, qualche anno fa. Poi la bolla ha fatto plafl e s'è sgonfiata in un istante. E' rimasto, accanto al corredo delle spiegazioni/giustificazioni bell'e pronte, Recoaro Mille. Forse, anche allora, saranno prevalsi motivi di bilancio: mille è la metà di duemila, se tagliamo risparmiamo mille, dunque, perché lamentarsi? Ad ogni modo, trecentesimo o meno, l'acqua, minerale per fortuna è ancora lì e scorre come sempre, come il giorno in cui il buon patrizio vicentino scese da cavallo e la raccolse in un fiasco, segnando senza volerlo il destino di questa borgata. E il tempo, come sempre, farà giustizia della ricorrenza e di tutte le chiacchere che su di essa non si faranno o che, al contrario, si sprecheranno.

Perché, come diceva Walter Benjamin, "siamo precipitati in un abisso di ciarle". Proprio così: quando i fatti mancano tutto il resto non conta.