Nell’enciclica “Laudato sì” papa Francesco rivolge una riflessione anche all’urbanistica, sottolineando con una originale definizione la “pesante noia” dell’architettura ripetitiva “delle megastrutture e delle case in serie” (113), che interroga la capacità progettuale nel difficile equilibro tra densità urbana e tutela delle aree verdi. Viene in mente il richiamo alla bellezza che salverà il mondo di Dostoevskij, quella bellezza troppo spesso messa in secondo piano dal ciclo che lega la trasformazione urbanistica al profitto che genera.
Questa logica rischia di abbassare la qualità di molte città e di molti quartieri, dove vediamo sorgere nel cuore vitale di questi, enormi ed anonimi edifici incapaci di ridare valore storico ed estetico all’area stessa in cui vengono realizzati. Ma la città accogliente (152) quella che crea relazioni, che consente il riconoscimento dell’altro e che integra le differenze dovrebbe essere caratterizzata dalla presenza “di spazi che collegano, mettono in relazione”. Al contrario l’edificazione nel cuore di un quartiere di brutti edifici di lusso (brutti nel senso amorale, in quanto lì non ci dovevano stare, ma ci stanno solo per ragioni economiche), sembra riflettere più la preoccupazione della presenza del diverso, che non la volontà di aprirsi alla città, al quartiere.
A questa preoccupazione si risponde realizzando strutture che ingabbiano il proprietario, proiettandolo in una realtà elitaria, che però lo rende avulso e scollegato con la vita quotidiana del quartiere.
In realtà il territorio edificato e lo spazio verde sono sullo stesso piano di interesse, perché ogni volta che la città si espande, occupa e trasforma una porzione di territorio, che ha una sua storia e una sua identità, queste vengono cancellate.
Quindi le operazioni di speculazione edilizia sottraggono al resto della comunità, non solo spazi che si sarebbero potuti valorizzare diversamente, ma anche la memoria storica dei luoghi (se fra quindici, vent’anni dovessimo chiedere ad un giovane valdagnese di indicare il luogo d’intervento, sia esso città, campagna o natura”. dove un tempo veniva conferito e lavorato il latte prodotto dalle vacche che animavano i pascoli intorno a Valdagno, questi probabilmente non saprebbe rispondere, semplicemente perché gli è stata negata la memoria storica collettiva).
Sempre papa Francesco rimarca come “Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una regola d’oro del comportamento sociale, e il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata” (93).