Questo principio peraltro è ben presente anche nella Costituzione italiana quando, all’articolo 42, si afferma che “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”. In conclusione mi sentirei di affermare che ogni atto di pianificazione urbanistica deve essere supportato da un criterio etico, ossia una scelta di valore pertinente al modo in cui rendere accettabili certe opere sul territorio. Questo è l’aspetto che è mancato anche nei recenti interventi di urbanizzazione realizzati a Valdagno.
L’architetto svizzero-italiano Luigi Snozzi (1932-2020), affrontando il tema dell’etica in architettura, ebbe modo di affermare: “quando un architetto costruisce una casa su un prato, il primo atto che fa è quello di distruggere i primi 30 – 40 centimetri di terra, l’humus, per posare le fondazioni. Questa porzione di terra è la più feconda della crosta terrestre, da essa l’uomo ricava gran parte dei suoi alimenti. Il problema non sta quindi nel fatto della sua distruzione, ma nel fatto di prendere coscienza di questo atto: qui sta il problema etico. Quindi se un architetto non è in grado di supplire al bene annientato con un bene altrettanto importante, come l’architettura, è meglio che deponga la matita. L’etica, quindi, interviene inogni decisione di progetto, in quanto in ogni progetto l’architetto è costretto a rapportarsi con il luogo d’intervento, sia esso città, campagna o natura”.
Ma se questo è un principio che dovrebbe caratterizzare l’etica dell’architetto, perché lo stesso principio non dovrebbe valere anche per il comune quando rilascia i permessi a costruire?
Federico Maria Fiorin,