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di Nicoletta Dal Lago

 

Considerare la Rio di Valdagno come il "cuore, l'anima" del Paese? Più del centrale "nobile" Corso Italia e delle vie dicenti? Oggi che a Valdagno è molto cambiata, provino i valdagnesi "autentici" " a ripensare alla Valdagno dei quarant'anni fa ("70 anni" n.d.r.) e allora queste ipotesi trova la sua piena legittimità.

Io ho fatto le elementari ai tempi in cui gli italiani non avevano ancora la coscienza di essere europei o forse tale coscienza era ancora patrimonio di una élite culturale o forse essa doveva ancora entrare prepotentemente nei circoli didattici e le maestre ci insegnavano ancora che eravamo italiani (anche se non più piccoli italiani) e ci facevano imparare le parole dell’inno d’Italia e del secondo coro del Nabucco.

Chi aveva difficoltà a memorizzare testi se non altro imparava chi erano Mameli e Verdi e cos’erano le coorti della grande Roma che avevano conquistato il mondo.

Tuttavia si sa a quell’età le suggestioni fantastiche creavano più associazioni di idee che i collegamenti interdisciplinari tra italiano e storia ad esempio, e non c’era niente da fare, ogni volta che in classe, in piedi e atteggiamento composto cantavamo l’inno d’Italia, quando si arrivava al fatidico “stringiamoci a corti” anziché la grande Roma mi veniva in mente quel mondo di vicoli, volti e corti che si apriva dietro ai cancelli delle scuole elementari Borne.

Io li vedevo quando andavo al catechismo perché mi piaceva passare per “da Rio” e per “sora, Valdagno”. Il discrimina tra le due zone è nettamente segnato da via Garibaldi: da qui fino alla corte delle finanze si estende il più antico quartiere di Valdagno, in prossimità del torrente e ai piedi del Castello che lo sovrasta e lo ripara dei venti che scendono dalle piccole Dolomiti. Per essere più precisi occorre distinguere la Rio vero e proprio dalla Madonnetta con la sua bellissima corte di cui si intravede una parte dal ponte delle Borne.


Perché si dice “la Rio” se Rio è maschile? Una spiegazione morfologica ci sarebbe ma è noiosa e qui mi importa poco. Il vecchio quartiere popolare di Valdagno come la Triana o la Macarena di Siviglia, è sempre stata “la Rio”. Quartiere caldo, oltretutto perché le case e le corti sono orientate in modo da godere di tutto il sole possibile alle nostre latitudini. Le corti: quella delle Finanze, quella dei gatti, una “sine nomine”, quella dei Carlini e quella “de sora” quella dei Castaldi e quella dei Gattare rispettivamente a destra e a sinistra per chi viene da piazza, 25 aprile.

A quella dei Gattare si accede da un portone che occhiude l’arco del portico ed è l’unica che conserva se ben nascosto tra l’erba il vecchio selciato di sassi mori della Rio. In quella dei Gatti e delle Finanze si vedono soppalchi di legno rifatti quasi uguali ai più antichi grazie all’intervento delle belle arti. Quella “de sora” ha il cemento per terra e nella pontareta di accesso, ma conserva un muretto vecchio come il cuco, a differenza del muretto della corte delle finanze che ha impresso nel cemento la data 1956. Gattare, Carlini, Castaldi sono i soprannomi di famiglie che abitavano o che abitano ancora in queste corti da qui denominazione popolare ( per il Comune si tratta solamente di via Rio numero X) tradisce quella tendenza personalizzante che caratterizza come vedremo in seguito tante parti della toponomastica della Rio.

La corte sta il condominio come il pubblico sta al privato. È nemica per sua stessa natura del concetto di privacy che dal mondo anglosassone è ormai penetrato anche della nostra cultura di latini del Nord. Ti obbligava a stabilire rapporti con i vicini: i fili per stendere in comune, il cesso in comune, le finestre che guardavano tutto verso un antico spiazzo centrale obbligavano a vedere e a sentire gli altri nonché a farsi vedere e a sentire dagli altri.

E questo, oltre ai più nobili e sentimenti, suscitava ed alimentava anche di effetti più deleteri della vita comunitaria: maldicenze, pettegolezzi, invidie, gelosie, eccetera.

Si poteva con varie gradazioni intermedie odiare o amare i propri vicini: ignorarli, però, mai.

(fonte: Appunti 1/1989)