Nel nostro tempo, molti viaggiamo, tutti vorrebbero poterlo fare, nonostante difficoltà, disagi, e forse pericoli. Viaggiare quindi, ma come'? Da turisti o viandanti? Ecco una riflessione sulle strade che percorriamo, ma soprattutto "sulla strada" che è la dimensione del nostro vivere
C’è uno scopo nell’andare, mi metto sulla strada per recarmi… Vado in un certo posto o da qualcuno… La strada segna il cammino che è il per-corso (andare attraverso).
Andare come? Tanti i modi di andare: a piedi, in bicicletta, in auto, passeggiando, camminando frettolosamente, correndo, guardandosi attorno, con la mente fissa alla meta, tendendo ai propri pensieri...? Ogni scelta impone un modo diverso di vivere la strada. Si può essere frettolosi turisti o ammirati “viandanti”! (cioè coloro che “per-via-vanno”).
Viaggiamo molto, ma, quando usciamo dai luoghi delle nostre solite conosciute passeggiate, non siamo viandanti, ci chiamiamo turisti. Ci capita di ignorare quello che c’è per strada fissi come siamo alla meta. Se andiamo in vacanza la nostra preoccupazione è di arrivarci veloci e sicuri. La strada è soltanto un lungo nastro d’asfalto da percorrere, oppure, come in un viaggio aereo, essa non esiste. In poche ore passiamo da una regione a un’altra, o addirittura da un continente a un altro.
Il viandante, al contrario, si “mette in cammino”. Ha certamente una meta. Ci sono le grandi mete. Nel passato alcune strade segnavano le “grandi mete” di una vita: il pellegrinaggio, percorso di ricerca di espiazione, di purificazione oggi di ritrovamento (Roma, San Giacomo in Spagna o, addirittura, Gerusalemme). Esistevano strade ben segnate per raggiungere da ogni direzione queste mete. Vi sorgevano posti di ristoro, chiese e conventi, castelli e villaggi. Ma la meta poteva anche essere più modesta: fare un viaggio per sistemare i propri affari, per andare a trovare un parente lontano.
In entrambi i casi la via era percorsa con attenzione. Diciamo che la via “era vissuta”. Sulla strada ci si trovava in tanti a fare lo stesso cammino. Se il cammino era lungo sulla via e lungo la via si trascorreva un mucchio di tempo. Per la strada c’erano pericoli ed era facile, a causa dei briganti, perdere tutto il proprio avere e anche la vita.
Ma la strada aveva aspetti piacevoli. Si facevano incontri, si formavano gruppi che andavano assieme e si era più disposti a un sentimento di condivisione, solidarietà, aiuto vicendevole. Per strada si raccontavano storie meravigliose, si discuteva su tante questioni, si scambiavano informazioni ed idee.
Lungo la strada si visitavano castelli e villaggi, ciascuno con la sua vita, le sue consuetudini, feste, santi e tradizioni, panorami vari, talvolta strani. Il viandante faceva esperienze di incontri e di conoscenze che mai avrebbe avuto modo di apprendere se fosse sempre rimasto fisso nel luogo di origine.
La strada era, quindi, il luogo dell’incontro e dell’esperienza: qualche storico avanza l’ipotesi che l’Europa, nelle sue radici, si sia formata appunto lungo le grandi strade dei pellegrinaggi e dei commerci. Anche oggi sono segnate o ricordate le grandi strade che attraversavano nel medioevo il nostro continente (la Via Francigena e la via Romea verso Roma, il Camino di Santiago verso san Giacomo in Spagna…).
Quando i fortunati tornavano a casa dal lungo viaggio potevano raccontare tante avventure, magari arricchite dai colori della fantasia ma riempite da tanti incontri e nuove conoscenze.
Il confronto tra viandante e turista ci invita a cogliere le differenze tra modi diversi di “percorrere una strada”. Ce ne sono diverse, ma le seguenti meritano di essere poste in evidenza.
Il turista vuole tutto organizzato prima. Magari trova poi lo stesso degli imprevisti, ma li vuole ridotti al minimo. Si informa sugli orari dei treni, prenota alberghi, ascolta i bollettini del traffico. È previdente al massimo. Se qualcosa va storto, entra subito in crisi e in ansia…
Il viandante invece, pur avendo una meta (perché altrimenti è uno che non fa un viaggio ma gira a casaccio, un vagabondo, un bighellone), vive il viaggio accettando l’avventura, l’imprevisto, l’ostacolo. Sa che forse alla sera non troverà magari alloggio, ma sa che comunque se la può cavare lo stesso, ha imparato che dalle avventure e dagli imprevisti si possono trarre nuove esperienze.
Altre due importanti differenze nell’atteggiamento le troviamo su come i due diversi modi si mettono di fronte alla “meta”:
Il turista vuole solo arrivare, perciò gli interessa soltanto la “meta”, lo scopo, che si è prefisso. Ad esempio, la vacanza ha inizio solo quando è arrivato in albergo al mare. È come se a uno interessasse soltanto il futuro, quello che lo aspetta.
Quando i fortunati tornavano a casa dal lungo viaggio potevano raccontare tante avventure, magari arricchite dai colori della fantasia ma riempite da tanti incontri e nuove conoscenze.
Il confronto tra viandante e turista ci invita a cogliere le differenze tra modi diversi di “percorrere una strada”. Ce ne sono diverse, ma le seguenti meritano di essere poste in evidenza.
Il turista vuole tutto organizzato prima. Magari trova poi lo stesso degli imprevisti, ma li vuole ridotti al minimo. Si informa sugli orari dei treni, prenota alberghi, ascolta i bollettini del traffico. È previdente al massimo. Se qualcosa va storto, entra subito in crisi e in ansia…
Il viandante invece, pur avendo una meta (perché altrimenti è uno che non fa un viaggio ma gira a casaccio, un vagabondo, un bighellone), vive il viaggio accettando l’avventura, l’imprevisto, l’ostacolo. Sa che forse alla sera non troverà magari alloggio, ma sa che comunque se la può cavare lo stesso, ha imparato che dalle avventure e dagli imprevisti si possono trarre nuove esperienze.
Altre due importanti differenze nell’atteggiamento le troviamo su come i due diversi modi si mettono di fronte alla “meta”:
Il turista vuole solo arrivare, perciò gli interessa soltanto la “meta”, lo scopo, che si è prefisso. Ad esempio, la vacanza ha inizio solo quando è arrivato in albergo al mare. È come se a uno interessasse soltanto il futuro, quello che lo aspetta.
Il viandante non dimentica la meta, tiene bene a mente dove vuole arrivare, ma valorizza le incertezze e gli imprevisti, le soste inaspettate. Ha in mente il futuro, ma è attento al presente, di quello che sta facendo, di quello che gli capita attorno e come sta vivendo ogni preciso momento. Sa che alla fine, quando arriverà alla meta, sarà molto diverso da come è partito, perché il cammino lo avrà cambiato in profondità. Sa che alla fine il risultato del viaggio dipenderà molto dal ritmo e dall’atteggiamento interiore con cui ha viaggiato, dai frutti delle esperienze.
Che cosa c’è in fondo alla strada? Sono tenuto a decidere per chi o verso quale luogo sto camminando, che cosa mi attende, cosa mi attendo e ciò è alla base anche della scelta del tipo di percorso: assegno, in questo modo, un senso al mio cammino e metto in conto, infine, che, se non sto attento, la strada la posso pure perdere (“…mi ritrovai in una selva oscura / che la diritta via era smarrita”). Che strumenti ho per ritrovare la strada perduta? Non distraendomi troppo, dando il valore giusto ad ogni indicazione, magari, scoprendo e interpretando i “segnali”, le “tracce” lasciati da altri.
(fonte: A. Boscato Rari Nantes, 2021 pag. 7-10