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Il discorso è possibile, ma sarebbe lungo, ci limitiamo ad alcuni spunti immediati, offerti da alcune persone che gli sono state particolarmente vicine.
Egli ha immesso nel suo ministero di prete la sua esuberante e ricca personalità umana. Sensibile e combattivo, ebbe una natura estroversa, sapeva comunicare e coinvolgere con il suo entusiasmo. Non poteva certamente avere nemici, neppure a causa della sua sincerità o del suo modo talvolta apparentemente brusco, perché tutti coglievano la sua grande umanità.
Aveva un vivo senso dell’amicizia e amava molto stare con gli altri. Di amici ne aveva molti, anche importanti, con i quali sapeva trattare alla pari, senza complessi di inferiorità, ma preferiva stare soprattutto con le persone semplici, la sua canonica era sempre aperta e chiunque sperimentava il suo profondo senso dell’accoglienza e dell’ospitalità.
Uomo di azione, era dotato di un’intelligenza pratica e vivace, spigliata, un vulcano di iniziative ma con una innata capacità di capire i problemi. Fu molto legato alla tradizione, ma quella vera, autentica, fondata sulla preghiera e sulla dimensione interiore, e non poteva che essere così. Lo potremmo definire un prete “tradizionalista”, nel senso migliore e letterale del termine: attaccato alla sua Chiesa e ai fondamenti della sua storia. Era tuttavia una persona aperta al nuovo, curiosa, interessata, documentata. Se non fosse stato così il suo carattere, non avrebbe certamente avuto la capacità di realizzare quell’insieme di iniziative che gli danno testimonianza. 
Un “suo” sacerdote che egli ha accompagnato nel cammino da seminarista al sacerdozio lo ricorda con queste parole certamente molto indovinate: “don Alfonso è stato sacerdote tutto d’un pezzo e a tempo pieno, fino in fondo in tutte le fibre del suo essere. In lui non è possibile scindere l’uomo e il prete, ma l’uno arricchiva l’altro in una unità profonda.